giovedì 26 giugno 2025
L'Onu denuncia 410 vittime da quando, un mese fa, la società creata da Usa e Israele è in funzione. L'esperto Yaakov: "Il sistema è pensato in chiave militare, non è costruito per soccorrere i civili"
Civili di Gaza osservano i movimenti dei camion di aiuti

Civili di Gaza osservano i movimenti dei camion di aiuti - Ansa

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Reem Zeidan pensava di essere stata fortunata. Alle 20 era uscita dalla sua tenda a Khan Yunis, nel sud della Striscia, dove era accampata da gennaio con le sue otto figlie. Per cinque ore aveva camminato di notte lungo la strada costiera fino all’ex allevamento ittico chiamato “Fish Fresh” a ridosso di uno dei centri della Gaza humanitarian foundation (Ghf). Ma ce l’aveva fatta. A differenza della settimana precedente, stavolta era arrivata quando era ancora buio e i battenti della struttura chiusi. Sarebbe riuscita a prendere qualche sacco di farina prima che finisse. Era in attesa quando, intorno, sono cominciati gli spari. L’esercito israeliano, nei paraggi del compound, ha detto di aver aperto il fuoco di fronte a una minaccia. Reem è stata raggiunta da un proiettile mentre fuggiva ed è morta sul colpo. Quel 3 giugno, secondo le autorità sanitarie locali controllate da Hamas, 27 civili affamati sono stati uccisi mentre erano in fila per il cibo. Una delle quotidiane “stragi del pane” dall’avvio delle operazioni della Ghf, nonprofit registrata in Svizzera e Usa, a cui Israele ha appaltato il sistema di assistenza umanitaria a Gaza dal 26 maggio scorso, dopo 80 giorni di blocco. Il modo – nell’ottica di Benjamin Netanyahu esposta all’ultima Assemblea generale dell’Onu – di «togliere ai terroristi la leva degli aiuti», tagliando fuori l’Onu e le altre organizzazioni indipendenti, «troppo morbide». La dimostrazione – non si stanca di ripetere il premier e gli alleati dell’ultradestra – sarebbero stati i frequenti saccheggi dei convogli. Così Hamas si sarebbe impossessata delle scorte per rivenderle o regalarle in cambio di fedeltà. Nei tunnel dei miliziani, però, non sono stati trovati concentrati di vettovaglie. A venire a galla, invece, è stato il sostegno di Israele al clan beduino di Yasser Abu Shabab, responsabile di numerosissimi attacchi ai camion umanitari.


In ogni caso, dal 19 maggio, a Onu e Ong è stato consentito di far entrare solo piccole quantità: «novemila tonnellate metriche di generi di prima necessità», secondo quanto precisato dal Programma alimentare mondiale (Pam). Al resto pensa Ghf la cui logistica e sicurezza sono garantite dalla Safe reach solutions, guidata dall’ex 007 della Cia, Phill Reilly, e dalla sua società di contractor Ug solutions, che si avvale di veterani statunitensi in assetto da combattimento. «Così il cibo per i civili viene trasformato in arma», ha detto in un duro comunicato, lunedì, l’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani (Ocha). Un’arma letale: sempre secondo l’Onu, a un mese esatto, oggi, dall’inizio delle attività, almeno 410 persone sono state ammazzate e 3mila ferite nell’intento di raggiungere un punto di distribuzione di Ghf. Una media di tredici vittime al giorno che si sommano a quelle del conflitto: 74 ieri: trentatrè di loro erano gazawi in cerca di soccorsi. Una tragedia a cui il Consiglio Europeo di questa settimana, nel rinviare la decisione sulla possibile adozione di sanzioni, ha chiesto di porre rimedio. Gli Usa, al contrario, come anticipato da Reuters, hanno appena varato, in piena era di tagli alla cooperazione, un finanziamento di 30 milioni di dollari a Ghf attraverso l’Agenzia per lo sviluppo internazionale. Il tutto con una procedura d’urgenza in modo da evitare mesi di controlli da parte del dipartimento di Stato. Una prima tranche da 7 milioni sarebbe stata già erogata. Poi, nel prossimo futuro, potrebbe aggiungersi un contributo fisso mensile di 30 milioni alla fondazione che molti media hanno definito «una trappola mortale». «Non mi sorprende che lo sia diventata. Fin dal primo esame della posizione e delle caratteristiche dei centri, mi sono reso conto che erano presenti tutte le condizioni perché non potesse funzionare – spiega ad Avvenire, Yaakov Garb della Ben Gurion University –. Il modello è strutturato all’opposto di quello impiegato per l’assistenza umanitaria nelle zone di conflitto». Invece di decentrare in centinaia di punti l’assistenza, come era prima nel modello Onu, la accentra. «Risponde, così, a una logica di protezione del personale e delle scorte, non di soccorso alla popolazione». Il sociologo, a partire dall’analisi della geografia umana e spaziale della Striscia, ha realizzato uno degli studi più accurati sul funzionamento della Ghf: il primo rapporto, basato sui primi giorni di operazioni, è stato diffuso il primo giugno scorso. A breve uscirà il bilancio aggiornato. E non sarà positivo. «Beh, i risultati parlano da soli. C’è una ragione se l’Onu e le Ong ne sono volute restare fuori».

I quattro centri funzionanti di Ghf si trovano uno nella parte centrale e tre nel sud, nell’area tra Morag e Tel Sultan. Tutti sono quasi impossibili da raggiungere per l’oltre un milione di abitanti di Gaza City – la maggior parte degli abitanti della Striscia – poiché sono situati a sud del corridoio Netzarim. Solo chi è allo stremo corre il rischio di attraversare una zona definita “cuscinetto”, in precedenza evacuata dall’esercito israeliano», afferma l’esperto. I 350mila residenti del centro e i 700m del sud di Gaza, inoltre, «devono comunque passare per aree di combattimento – conclude –. Oltretutto a piedi, data la carenza di trasporti e carburante». Chi arriva, poi, trova i centri presidiati dai contractors. E, nelle adiacenze, istallazioni militari. Quanti si accaparrano un pacco nella calca – non c’è un modo di registrazione trasparente – devono fare i conti con gli stessi saccheggiatori che il sistema Ghf avrebbe dovuto eliminare. La Fondazione, da parte sua, si dice «orgogliosa» di avere distribuito 44 milioni di pasti e che l’erogazione continua «senza incidenti di rilievo». I suoi contractor, in effetti, finora, confermano fonti ben informate, non hanno sparato un colpo e all’interno delle istallazioni non ci sono state vittime. I morti restano fuori.

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